Drammaturgia di Luca Scarlini
Regia Daniela Mattiuzzi
con Patricia Zanco, Chiara D’Ambros
Disegno luci Graziano Pretto
Datore luci Federico Fracasso
Costumi Romilda Zaccaria
Ritratto inedito di Maria Callas attraverso momenti della sua vita artistica ed esistenziale.
Indagando tra le pieghe della forza e della fragilità di questa donna, lo spettacolo ripercorre la ricerca e la fatica, i successi e i tormenti, la volontà e le sofferenze che rendono la sua biografia la storia di un’inesausta richiesta d’amore. Il lavoro s’insinua sulla sottile linea che tiene insieme l’intimità profonda e dolente di questa donna e la sua prorompente presenza scenica, sul crinale tra il lato opaco, oscuro della sua esistenza ed il lato radiante, luminoso, sotto il cono di luce dei riflettori dove la sua voce si elevava e così la salvava, le restituiva vita e comprensione.
I giornali l’avevano soprannominata la tigre, stigmatizzandone così il carattere difficile, i continui capricci, l’amore-odio dei colleghi e del pubblico, riducendo il suo tormento a capriccio, la sua ricerca di assoluto a vanità. Il nostro lavoro cerca, invece, il canto profondo di un’anima, il canto che scaturisce dal punto cieco dove riposano la bellezza e il sogno, il canto che solo al tramonto si alza e va a comprendere e a lenire tutto ciò che la vita ha preso e buttato, tutto ciò che è restato lì, senza parole, negli angoli e negli anfratti della vita stessa. Come le rose: rosse, profumate, eleganti, e poi semplicemente sciupate, inutili, perse, sfinite.
Maria Callas è fotografata al termine della sua carriera. Proprio quando i rotocalchi di tutto il mondo spettegolano su di lei, Maria è costretta a guardarsi indietro, così, dalla fine emerge la nostalgia dell’inizio, ed ha il ritmo delle nenie del mare di Grecia, riemergono allora episodi, volti e voci, luoghi, figure ora lontane riprendono corpo.
Ma la vita di un’artista non si pesa facilmente, perché è una vita fatta d’arte, una vita sostenuta dal bisogno di dirsi in parole non comuni, di parlare nella lingua dell’arte: è una vita dominata da un bisogno che non dà tregua, che impone dedizione assoluta, rigore estremo, disponibilità a dare se stessa senza riserva alcuna. La ricerca della perfezione ha accompagnato Callas.
Dall’inizio fino alla fine, Maria è letteralmente tenuta in vita dal palcoscenico: il palcoscenico è il luogo della sua nascita e della suaacmè, della sua sublime espressione di sé ma anche della sua dolorosa esposizione agli occhi del mondo. Il palcoscenico è la condizione della sua fortuna e della sua vergogna: la “vergogna della scena” è il modo con cui Eleonora Duse ha stigmatizzato l’esperienza della vita-d’arte, è il modo con cui quest’altra grande interprete del teatro novecentesco ha sintetizzato la drammatica esperienza di chi non può che vivere in scena, facendo della propria vita un palcoscenico aperto all’esaltazione e all’incomprensione degli altri.
Maria Callas. Il canto della vergogna, porta alla superficie gli scarti e insieme la direzione di un’anima, intona un canto vibrante in cui le note più riposte si liberano. Perché è come un respiro profondo che mentre si spegne rivive.
Produzione fatebenesorelle teatro/ La Piccionaia / Opera Estate Festival